DOVEROSA NOTA INIZIALE: Ho iniziato a studiare i Testi Sacri delle principali religioni, per tre motivi. Il primo per chiedere Grazie a Chiunque mi (e ci) abbia protetto e per la Sua Gloria (ho veramente tanto ringraziare). Il secondo perchè negli anni alcuni antichi simboli di positività, spiritualità e di protezione per l’ Uomo, quali l’Esagramma, la Croce Rovesciata, lo Swastika, la Mano di Fatima, sono stati trasformati da alcune correnti politiche e gruppi fomentatori di odio, in simboli malefici. Sono fermamente convinto che donare di nuovo, il loro significato originario a questi simboli sia importante, poiché cedere questi simboli a movimenti razzisti, untori d’odio, promotori d’orrore, significa rafforzarli e nel contempo perdere la nostra identità. Il terzo motivo perchè le religioni sono espressione umana di un “sentire” Divino ed esse, racchiudono una vasta fonte di conoscenza.
Gli studi, sono naturalmente di carattere esoterico e sono focalizzati solo sull’incipit originale dello sviluppo del mio lavoro (sia in termini interpretativi, che teorici, che della realizzazione di Opere Rituali). Quindi qui di seguito, è pubblicato solo questo tipo di studio. Gli altri sono riservati, a chi ne ha diritto di accesso. Grazie dell’attenzione.
Base
Il campo di studio dell’esoterismo contemporaneo, è molto fumoso, caotico e a tratti ingannevole. L’accesso da parte di tutti alla rete web e all’eccesso di protagonismo, hanno creato paradossalmente, l’incapacità di raccogliere notizie o studi, precedentemente effettuati, in maniera seria. Questo periodo dove ogni individuo ci impone la sua visione del mondo, il suo pensiero o la sua opinione su qualsiasi cosa accade, ha influenzato in maniera negativa anche l’esoterismo e la ricerca della “vera conoscenza”. Andando ad avvicinarmi alla storia ebraica, è impossibile non pensare alla Cabala e a come oggi, il suo vero significato sia stato distorto. La professoressa Daniela Leoni, nel suo libro “La Cabala, il mondo mistico dell’ebraismo”, in solo due pagine spiega molto bene ciò che ho scritto precedentemente e ci ricorda che il termine significa: “Tradizione che si riceve”. Oggi invece, culti new age se ne riempiono la bocca, dottrine più o meno confuse ne vantano la conoscenza e tanto altro. Inoltre, la Cabala, come ogni altra tradizione antica, subisce nel corso dei secoli, delle deviazioni e arricchimenti, che a loro volta si arricchiscono e si ri-deviano, creando un calderone di idee, concetti, teorie, tradizioni, che hanno poco a che vedere con la radice originale. A fronte di questi problemi io tento sempre di approcciarmi al “Divino” con sentimento di passione e mai cercando di Raggiungerlo per essere un Suo pari, mai cercando di stravolgere le Sue parole, mai di fare del Suo insegnamento un uso personale. Ritengo, che il modo corretto di operare nel mio campo sia quello di leggere i Libri Sacri in lingua originale, con una visione relativa al tempo e al luogo in cui sono stati scritti. Non essendo questo sempre possibile, utilizzare almeno dei Libri Sacri che siano stati tradotti da persone della cultura a cui andiamo ad avvicinarci. Credo sia anche fondamentale, andare a recuperare informazioni da libri antichi, anche se questo presenta l’ostacolo di incappare in lingue che hanno parole che hanno mutato il loro significato nell’arco dei decenni. Infine credo sia importante, tenere comunque, la mente aperta ad ogni piccolo particolare, anche quello più insignificante, perché proprio in questo potrebbe esserci una importante scoperta.
Per intraprendere questo progetto, ho per prima cosa letto la Torah. Io mi sono dedicato a “Il Pentateuco ovvero i 5 libri della Torà” tradotto da Samuel David Luzzato nel 1858. Ho letto varie volte, secondo la tradizione di approfondimento esoterico, che vede dapprima una lettura generale dell’Opera con un’ottica dedicata all’Insieme, una seconda lettura che può essere definita a ”compartimenti stagni” incentrata solo sui singoli episodi e infine una lettura specifica relativa ad alcune frasi. Alla fine ho tratto le seguenti considerazioni:
PISCIÒN: Nella Torah è scritto:
“Un fiume usciva di Eden, ad adacquare il giardino; e di là dividevasi, e formava quattro capi. 11 Il nome dell’uno è Pisciòn; è quello che gira per tutto il paese di Hhavilà, dove è l’oro. 12 L’oro di quel paese è ottimo. Ivi è pure la perla, e la pietra onice.”.
Il fiume in esame, è una delle quattro derivazione del fiume che annaffiava il Giardino dell’Eden. Questo potrebbe far di lui due cose: o un contenitore di acqua assolutamente pura poiché esce dal Giardino o al contrario, un contenitore di scorie, poiché nascendo dall’Eden e annaffiandolo, lo ha purificato e ha portato con lui tutto ciò che non era puro. Di fatto però, il fiume principale da cui si dirama sembra nascere direttamente dall’Eden, per questo io lo considererei come una sorgente di acque pure.
HHAVILÀ: Riprendendo sempre il paragrafo in esame sopra, si nota come questo paese è ricco e ha “ottime” materie preziose. Mi soffermerei su questo fatto, sull’aggettivo “ottimo” e sul fatto che il fiume Pisciòn lo bagna totalmente. L’immagine di un Fiume di acqua pura che entra e bagna in ogni suo aspetto un paese abbondante di materie pregiate e per giunta di ottima qualità, mi dà l’idea che sia simbolo di quanto un retto percorso spirituale e di vita possa portare a un grande arricchimento spirituale.
ADAMO: Il primo uomo creato dal Signore.
“Iddio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. 28 Iddio li benedisse, e disse loro Iddio: Prolificate e moltiplicatevi, ed empite la terra e soggiogatela;”
É colui che diviene quasi un sigillo della Creazione Divina. Ad esso (e alla donna) viene affidato il compito di far nascere l’umanità e a lui viene lasciata facoltà di scegliere il nome degli animali creati dal Signore, come si legge:
“19 Il Signore Iddio avendo formato dalla terra tutte le bestie selvagge, e tutti i volatili del cielo, li recò all’uomo, perché decidesse come avesse a nominarli; e quella qualunque denominazione che l’uomo imponesse a ciaschedun essere vivente, quella fosse il suo nome.”
Che Adamo abbia concessa la facoltà di scegliere o che sia chiamato a “completare” l’Opera del Signore è un argomento che esula da questo studio e, per le ragioni spiegate precedentemente, non ho una posizione al riguardo. Però, da questo punto la sua storia va avanti ed egli mangia il frutto proibito. Da questo cibarsi Adamo sembra acquisire una dimensione più spirituale e superiore anziché terrena:
“Il Signore Iddio disse: Ecco, l’uomo è divenuto quasi uno di noi, discernendo il bene ed il male;”
Riesce a distinguere cosa è bene e cosa è male e si accorge di cosa succede intorno a lui. Iddio teme che egli possa raggiungere l’immortalità:
“ora non vorrei che porgesse la mano, e pigliasse anche dell’albero della vita, e ne mangiasse, ed avesse a viver sempre.”
e quindi lo punisce prima di tutto cacciandolo dal Giardino:
“ 23 Il Signore Iddio lo mandò fuori del giardino di Eden, a coltivare la terra, dalla quale fu tratto.”.
Benché la sua storia abbia (insieme a quella della donna) varie interpretazioni, egli rimane un punto focale della Genesi dell’umanità e del disegno Divino.
ISCIÀ: Ella nasce da una costola dell’Uomo.
“Il Signore Iddio costrusse, della costa che prese dall’uomo, una donna; e la recò all’uomo. 23 E l’uomo disse: Questa finalmente è osso delle mie ossa, e carne della mia carne; questa deve chiamarsi Iscià [donna], poichè da Ish [uomo]futratta.”.
Ella è la figura che viene traviata dal serpente tentatore e che porta anche Adamo a peccare.
CAINO: Egli nasce da Adamo e Eva (Iscià) ed è un agricoltore. Portando alcuni omaggi al Signore, che sembra non gradire, rimane deluso:
“Ed a Caino ed al suo presente non mostrò gradimento; e ne rincrebbe a Caino assai, e ne restò abbattuto.”.
Iddio però sembra essere stupito della di lui reazione e:
“6 Il Signore disse a Caino: Perché ti rincresce, e perché sei abbattuto? 7 Già se opererai bene sarai esaltato; ma se tu non operi bene… Il peccato sta coricato alla porta; egli ha desiderio di te, ma tu domini sopra di lui.”
Il Signore sembra voler far sapere a Caino che non è importante cosa porti in omaggio se lo fai con bontà d’animo e rispetto; soprattutto perché il peccato è sempre in agguato e tu non devi far in modo che egli domini su di te. Ma questo dominio è forte e Caino uccide suo fratello Abele:
“Indi mentre erano in campagna, Caino, alzatosi contro Abele suo fratello, l’uccise.”.
Il Signore punisce Caino:
“12 Quando lavorerai il terreno, esso non seguirà a darti la sua virtù [i suoi prodotti]: errante ed irrequieto sarai per la terra.”
Ed egli forse si rende conto del grave peccato che ha commesso e teme di essere ucciso:
“13 Caino disse al Signore: Il mio castigo è troppo grande per potersi sopportare. 14 Ecco tu ora mi scacci dalla faccia della terra, ed io sarò rimosso dal tuo cospetto [abbandonato dalla Provvidenza]; sarò errante ed irrequieto per la terra, ed allora chiunque mi troverà potrà uccidermi. ”
Bisogna soffermarsi un attimo. C’è molto da riflettere su ciò che è stato citato fino ad ora in relazione alle ultime affermazioni. Iddio è adirato dalla grave colpa di Adamo ed Eva. Nonostante il peccato commesso Lui non li condanna a morire, ma li punisce duramente. Stessa cosa fa con Caino, il quale dopo essere stato scoperto come assassino viene maledetto da scarsi frutti della terra, in quanto agricoltore, ma non viene ucciso. Addirittura Iddio “segna” Caino in modo che nessuno lo tocchi. Alla prima luce di pensiero, sembrerebbe che Iddio ami i suoi “figli” e quindi giudichi troppo severa la pena capitale. Nel seguito però dei Libri, si legge che il Signore Iddio condanna varie volte gli uomini, eliminandoli. Quindi abbiamo una discrepanza di comportamento tra i primi uomini e gli altri a venire. Mi sono domandato se questa differenza esistesse davvero o è frutto di una mala interpretazione o traduzione dalla lingua originale. Potrebbe anche essere che Iddio abbia provato più amore verso i suoi primi figli e meno nelle generazioni successive, diventando meno tollerante. Avrebbe anche potuto eliminare fin da subito Adamo e Eva e far rinascere un altro Uomo e un’altra Donna. Io credo invece che il Signore abbia agito con l’intelligenza di un insegnante, di una assoluta potenza creatrice che crea i suoi
“figli” ma deve anche insegnare loro a seguire la via migliore, per condurre una vita nel “giusto”. Avesse fatto morire Adamo, Eva e Caino nessuno avrebbe saputo cosa accade a chi trasgredisce i suoi ordini.
ABELE: Nasce da Adamo e Eva ed è fratello di Caino ed è un pastore di bestiame minuto. La sua offerta al Signore è ben gradita, infatti si legge:
“4 Ed Abele recò anch’egli dei primogeniti del suo bestiame minuto, e delle loro parti più adipose; ed il Signore mostrò gradimento ad Abele ed al suo presente.”
Questo è l’episodio chiave che fa ingelosire Caino e lo conduce al peccato. Abele viene ucciso poco dopo e di fatto può essere considerato forse il primo perseguitato e martirizzato per essere nelle grazie di Iddio.
SCETH: Nasce da Adamo e Eva, molto probabilmente dopo la morte di Abele. Difatti si legge:
“25 Adamo avendo nuovamente conosciuto sua moglie, essa partorì un figlio, al quale impose nome Sceth, (con dire): Poiché il Signore mi costituì un’altra prole, in luogo diAbele, posciaché Caino l’uccise.”
Probabilmente da questo episodio possiamo dedurre che Sceth è la manifestazione della Grazia del Signore e la visione concreta di come la Fede ti possa ricompensare.
ENÒSH: Egli è il nipote di Adamo e Eva e figlio di Sceth.
“26 Anche a Sceth nacque un figlio, cui pose nome Enòsh.”
Reputo questo passo molto importante. Iddio “regala” un un nuovo figlio a Adamo dopo l’assassinio di Abele. Nasce per cui Sceth, che genera Enòsh. Con la storia che si porta alle spalle, quest’ultimo diviene un forte simbolo della potenza del Signore e della Sua onnipotenza. La nascita di un figlio e di un figlio che genera un figlio non si ferma al solo aspetto simbolico. C’è da riflettere anche sull’aspetto sociale e organizzativo dei primi raggruppamenti umani dell’epoca (forse ancora meno organizzati rispetto alle prime tribù nomadi), basati sull’allevamento del bestiame e sull’agricoltura. La nascita di un figlio era una gioia familiare ma anche una risorsa per avere forza lavoro da impiegare nel sostentamento della famiglia stessa. Infatti si legge:
“Allora fu incominciato a predicare il nome del Signore.”
Credo che questo passo sia la conferma di ciò che è stato detto prima. Il Signore manifesta tutta la sua grazia e gli uomini iniziano a diffondere il Suo nome.
NOÈ: Figlio di Lèmech e discendente di Adamo. Nella Torah si legge:
“28 Lèmech visse cento e ottantadue anni, e generò un figlio. 29 Gli pose nome Noè, con dire: Questi ci sarà di conforto, in mezzo al nostro lavoro, ed al travaglio delle nostre mani, proveniente dal terreno, che il Signore ha maledetto.”
Queste frasi ci portano a ciò che accadrà nei tempi seguenti, quando Iddio, visto il male che alberga nel cuore degli uomini, decide di sterminare tutto il Suo creato e di concedere a Noè, alla sua famiglia ed ad alcune coppie di animali, di salvarsi. Prima però, mi viene da riflettere sulle parole che dicono:
“proveniente dal terreno, che il Signore ha maledetto.”.
Non mi sono chiare. Non sono importanti ai fini di questa ricerca degli attributi di Noè, ma sono molto importanti per la comprensione del Testo sacro in generale. Dunque, Noè è discendente di Adamo, che fu padre a suo tempo di Caino. Il fatto che Lèmech citi il duro lavoro e che Iddio abbia maledetto la loro terra mi fa pensare che egli sia discendente di Caino. In realtà, dal registro delle posterità di Adamo, presente nel libro della Genesi, si legge che egli è diretto discendente di Sceth e quindi di Adamo. Quindi Lèmech lavorava il terreno che tempo prima fu di Caino? O Lèmech essendo agricoltore porta con sé la maledizione che si è estesa da Caino a tutta la discendenza (anche se non diretta) di coloro che in famiglia si dedicano all’agricoltura? Non so cosa pensare, certo è, teologicamente interessante capire, come la maledizione del Signore si muove, se per discendenza (quindi in pratica la progenie sembrerebbe portarsi dietro le colpe degli avi) o per settori (l’evento, in questo caso la maledizione, si circoscrive in relazione a ciò che è accaduto).
“Ed io fermerò la mia alleanza con te, ed entrerai nell’arca, tu e teco i tuoi figli, tua moglie, e le mogli dei figli tuoi. 19 Come pure di ogni vivente, di ogni sorta di mortale, due (paia) di ciascheduna specie introdurrai nell’arca, per conservarli in vita con te; maschio e femmina saranno. 20 Dei moltiplici volatili, dei moltiplici quadrupedi, di tutti i moltiplici rettili della terra, due (paia) di ciascheduna specie (farai che) vengano a te, per conservarli in vita . ”
Giunto il momento di distruggere l’umanità depravata, il Signore dice a Noè cosa deve fare e chi deve salvare dalla Sua ira. Il racconto della Genesi prosegue con il Diluvio Universale e con Noè e gli altri che affrontano tutto questo con fede verso il Signore. Fino alla conclusione dell’episodio narrato, dove il Diluvio cessa e gli occupanti dell’arca sono sani e salvi.
ARARÀT: Monte dove approda l’arca di Noè in attesa del definitivo ritiro delle acque, che assume un valore enorme, essendo il punto di arrivo, dopo il lungo e travagliato navigare. Tutti quelli che sono gli attributi di Noè si possono ritrovare nell’Araràt.
NIMRÒD: Discendente di Noè, viene ricordato con queste parole:
“Questi incominciò ad essere valoroso [conquistatore] nella terra. 9 Egli fu valoroso cacciatore innanzi al Signore [cioè senza l’eguale]; ond’è che si dice [per esaltare qualche prode guerriero]: simile a Nimròd, valoroso cacciatore innanzi al Signore.”
Al di là delle varie interpretazioni che vogliono questo personaggio essere un glorioso conquistatore e cacciatore, ma anche oppositore del Signore, gli si può attribuire una forte valenza di “valore” dagli scritti qui sopra riportati.
BABÈL: È la Torre che gli uomini tentano di costruire e che il Signore riesce a fermare. Nella descrizione della storia si trovano degli spunti molto interessanti:
“E dissersi l’uno all’altro: Or via fabbrichiamo mattoni, e cuociamoli. Il mattone servì loro di pietra, ed il bitume servì loro di malta. 4 Indi dissero: Or via, edifichiamo una città, ed una torre, di cui la cima giunga al cielo, e ci faremo un nome [oppure: un monumento]; affinché non avvenga che ci spargiamo sulla faccia di tutta la terra.”
Gli uomini vogliono costruire la Torre. Sembra che volessero fare ciò (una torre la cui cima giunga fino al cielo) per arrivare a Iddio. Visto però che si parla di erigere anche una città, potrebbe trattarsi solo di un voler erigere qualcosa di imponente per spaventare gli eventuali nemici. Quasi sicuro è
che si tratta di una sfida verso il Signore o verso qualcuno di più generico (al quale daremo un nome) oppure un monumento. In tutti i casi la Torre e la città acquisiscono una valenza di dimostrazione di grandiosa maestosità, che in realtà spetterebbe solo al Signore.
“5 Il Signore discese a vedere la città e la torre che gli uomini fabbricavano. 6 Il Signore disse: Ecco, essi formano un popol solo, ed hanno tutti un solo linguaggio, e questo è quanto incominciarono a fare. Ora non sarà loro difficile d’eseguire quanto penseranno di fare.”
Questo punto e quello che segue, sono molto interessanti, sia dal punto di vista religioso che esoterico. Il Signore vede ciò che gli uomini stanno facendo e capisce che potrebbero anche raggiungere il loro intento. Questo potrebbe succedere perché essi hanno dei punti che li rendono molto forti. Il primo punto di forza è dichiaratamente esplicito: loro parlano tutti la stessa lingua e quindi è facile capirsi e organizzarsi. Il secondo punto è “interpretativo” se mi passate il termine, ovvero: si capiscono, ma sono anche organizzati in un sistema socio – politico – militare che li rende efficienti al massimo. Come se remassero tutti verso lo stesso scopo. Questo ricorda molto altri punti della Torah o di moltissime dottrine esoteriche, dove i punti descritti sopra sono necessari per raggiungere lo scopo. Pensiamo al classico cammino spirituale di una persona. Che essa lo compia all’interno della religione ebraica, cristiana, musulmana o altro ancora, non riuscirà nemmeno a iniziare, se non verranno forniti a lui le indicazioni di base (ovvero se non si parla la stessa lingua e se non c’è in lui la volontà di iniziare).
“7 Or via discendiamo, e confondiamo ivi la loro favella, in guisa che non intendano l’uno il linguaggio dell’altro. 8 Il Signore li disperse di là sulla faccia di tutta la terra, e quindi cessarono di edificare la città. 9 Perciò le fu dato nome Babèl, poiché ivi il Signore confuse il linguaggio di tutta la terra, e di là il Signore li disperse sulla faccia di tutta la terra.”
La conferma di quanto detto sopra, arriverebbe con questo brano. Il Signore vuole fermare l’opera e va a intaccare il loro punto di forza: crea in loro vari linguaggi in modo tale che essi non siano più capaci di intendersi. Disgrega così, in una sola volta, tutta l’organizzazione creatasi fino ad allora. Da quel momento, la Torre e altre grandi opere non poterono essere realizzate, se non con l’aiuto del Signore.
ABRAMO: È l’emblema della fede riversa verso Signore Iddio. Nonostante la sua lunga vita, piena di episodi importanti, si legge:
“1 Il Signore disse ad Abramo: Vanne dal tuo paese, dal tuo parentado, e dalla casa di tuo padre, al paese che ti farò vedere. 2 Ed io ti farò divenire una grande nazione, ti benedirò, e renderò grande il tuo nome; e sarai (tipo di) benedizione. 3 Benedirò quelli che ti benediranno, e chi ti maledirà maledirò; e si benediranno in te tutte le famiglie della terra [nel benedire chi che sia gli de- sidereranno fortuna pari alla tua].”
Da queste parole traspare la grandissima Fede che Abramo ripone nel Signore. Iddio, avrebbe potuto promettere anche l’intera ricchezza del mondo conosciuto, che Abramo non si sarebbe mosso, se non avesse avuto fiducia cieca in Lui. Invece Abramo sente di potersi fidare. Dalle parole riportate sopra, sembra di leggere tra le righe un Abramo colmo di Amore verso Iddio e verso le Sue parole. Egli è chiamato ancora una volta, dopo molto tempo, a dimostrare la sua Fede, quando il Signore gli disse:
“Prendi tuo figlio, il tuo amato unigenito, Isacco; e vanne al paese di Morijà, e lo immola ivi in olocausto, sopra quello dei monti che ti dirò. 3 Abramo,
alzatosi alla dimane, mise il basto al suo asino, prese seco i due suoi domestici ed Isacco suo figlio, spaccò le legna (occorrenti) per un olocausto, si alzò e andò verso il luogo che Iddio gli avea detto.”
Egli ha fiducia assoluta nel Signore, ed esegue quanto detto. È ben a conoscenza che l’offerta dell’olocausto è il suo unico figlio, ma Abramo non ci pensa nemmeno un attimo e si reca dove gli è stato indicato, a fare ciò che va fatto. Iddio vede concretamente quanto Abramo sia temente verso la sua parola, tanto da far intervenire un angelo a fermare il sacrificio:
“12 E quegli disse: Non portar la tua mano sul giovinetto, e non gli fare cosa alcuna; imperocché ora conosco che sei temente di Dio, non avendomi negato tuo figlio, il tuo unigenito.”
In questo esatto momento, credo sia tangibile con mano quanto la fiducia reciproca tra il Signore e Abramo sia assoluta e quanto essa sia necessaria per far fronte a tutte le prove che il popolo di Israele dovrà affrontare.
SARAI: È la moglie di Abramo. Benché in età avanzata e afflitta da sterilità, riceve dal Signore la possibilità di partorire e così nasce Isacco. Prima che ciò accadesse, aveva dato la sua schiava Hagar al marito, affinchè partorisse un figlio. Da questa unione nacque Ismael.
LOT: Egli è nipote di Abramo. Protagonista di una importante scena nella Torah:
“7 Insorse discordia tra i pastori del bestiame d’Abramo, ed i pastori del bestiame di Lot. I Cananei ed i Perizei erano allora nel paese. 8 Abramo disse a Lot: Deh! non sia discordia fra me e te, tra i miei (cioè) e i tuoi pastori; perocché siamo prossimi congiunti.”
Abramo non vuole incrinare il rapporto familiare con Lot. Quando vede che i pastori al loro servizio non vanno d’accordo, preferisce dividersi piuttosto che competere con il proprio nipote. Abramo fa un gesto nobile a mio avviso, poiché vuole evitare ogni tipo di diatriba. Ma non si ferma qui. Infatti è scritto:
“9 Tutto il paese è a tua disposizione: dividiti in grazia di me. Se tu alla sinistra, io andrò a destra; se tu alla destra, io andrò alla sinistra”
Abramo va oltre e lascia decidere a Lot quale parte scegliere. Pur di preservare un legame familiare onesto, puro e profondo, fa scegliere al nipote la sua destinazione, anche se egli potrebbe scegliere per sé le zone migliori. Lot è nelle grazie del Signore Iddio, poiché lui e tutta la sua famiglia (tranne la moglie che fuggendo trasgredisce gli ordini dati loro dagli Angeli inviati da Iddio), vengono salvati dalla devastazione di Sodoma e Gomorra.
ISMAEL: Egli è figlio di Abramo e della schiava Hagar. Viene cacciato dall’accampamento e dalla vista di Abramo a causa della gelosia della moglie Sarai (in seguito chiamata Sara). Ma il Signore non lo abbandona e promette a sua madre che egli diverrà una grande nazione. Egli divenne così molto forte, visse nel deserto e diventò tiratore d’arco.
ISACCO: Egli è figlio di Abramo e Sarai (divenuta Sara). Nonostante gli altri importanti accadimenti della sua vita, egli rimane per sempre la materializzazione della Fede di suo padre verso il Signore Iddio. È benvoluto da Iddio, ne è dimostrazione quando si legge:
“21 Isacco supplicò al Signore relativamente a sua moglie, poiché era sterile; ed il Signore l’esaudì, e Rebecca di lui moglie rimase incinta.”
Finalmente resa fertile, Rebecca può dare una discendenza a Isacco. Nonostante la sua storia sia lunga e interessante, l’attributo a cui sento di avvicinarlo è la “pura fede”. Questo perché a quanto è possibile comprendere dal Testo Sacro, quando al momento del sacrificio Isacco capisce di essere lui l’offerta al Signore, non oppone resistenza. Tra le righe posso leggere una forte Fede in lui, come quella di suo padre.
ESAÙ: Egli è figlio di Isacco e Rebecca, nonché gemello di Giacobbe. Può essere attribuito a lui il danno derivante da una truffa reale o morale, poiché gli fu sottratta la benedizione del padre Isacco a causa di un trucco di sua madre, che volle avvantaggiare il figlio preferito: Giacobbe.
GIACOBBE: Gemello di Esaù e figlio di Isacco e Rebecca, quest’uomo ha una vita densa di avvenimenti. A fini simbolici è stato interpretato come l’episodio più importante quello che lo vede protagonista della lotta con l’Angelo. Infatti vi è scritto:
“25 Giacobbe rimasto solo, un uomo lottò con lui vicino allo spuntare dell’alba. 26 Vedendo che nol potea vincere, lo toccò [colpì] nell’estremità del femore; e l’estremità del femore di Giacobbe si slogò nel suo lottare con lui.”
Giacobbe sembra essere sopraffatto da paure, dubbi e molto probabilmente si sente anche indegno della Grazia di D-o
(Indi Giacobbe disse: O tu, Dio di mio padre Abramo, e Dio di mio padre Isacco! tu, Dio Signore, il quale mi dicesti: Torna al tuo paese ed al tuo parentado, ch’io voglio beneficarti. 11 Io sono indegno di tanti beneficii, e di tanta fedeltà, che usasti col tuo servo: mentre col (solo) mio bastone passai questo Giordano, ed ora divenni (padrone di) due schiere. ).
In quell’occasione, mentre rimane solo con le sue umane paure, egli viene assalito da un uomo col quale ingaggia una furiosa lotta che si protrae per tutta la notte. L’ignoto aggressore, vedendo che non riesce a domarlo, lo colpisce al femore e riuscì a bloccare così la sua veemenza. Il ragionamento simbolico sull’episodio nasce dal fatto che un uomo appare dal nulla e lo assale senza motivo, ma soprattutto che lo sconosciuto quando decide di porre fine alla lotta, con un solo tocco, rende Giacobbe inabile alla lotta. Dunque lo sconosciuto ha grande forza, più di un essere umano e alla luce di ciò, non è possibile che lo assalga all’improvviso senza motivo. La narrazione dell’episodio prosegue, ed è scritto:
“27 Quegli disse: Lasciami andare; poiché è spuntata l’alba. Ed egli [Giacobbe] disse: Non ti lascio andare, se prima non mi benedici. 28 Quegli disse: Che nome hai? Ed egli disse: Giacobbe. 29 E quegli disse: Il tuo nome non suonerà più Giacobbe, ma Israel: poiché lottando con dèi e con uomini, sarai vincitore.”
Da queste frasi, si può intendere che Giacobbe si è scontrato con un Angelo inviatogli da D-o. L’intento quindi potrebbe essere di riuscire a far comprendere a Giacobbe che deve dissipare le sue paure, i suoi timori, poiché è riuscito a combattere con un Angelo di D-o e uscirne vincitore. Tant’è che l’Inviato del Signore lo benedice e gli dice che il suo nuovo nome sarà Israel (Il tuo nome non suonerà più Giacobbe, ma Israel: poiché lottando con dèi e con uomini, sarai vincitore.).
DINÀ: Ella è figlia di Giacobbe e Leà. Essa è protagonista di una scena di violenza da parte di Sichem. Seppur di breve narrazione, la sua vicenda ha risvolti di elevata importanza. Il padre dello stupratore di Dinà si rivolge a Giacobbe per chiedere la mano per il figlio e stringere una alleanza. I fratelli di Dinà chiedono in cambio la conversione al loro culto.
La famiglia e il popolo dello stupratore accettano e si fanno circoncidere come chiunque entri nel popolo di Israele deve fare. Approfittando della debolezza fisica scaturita da questa operazione, i fratelli di Dinà entrano nella città dell’assalitore uccidendo tutti gli uomini e facendo razzia di tutto ciò che trovano. Giacobbe non approva affatto, infatti in punto di morte ricorda l’episodio e dice:
“5 Simeone e Levi son (del tutto) fratelli, strumenti d’ingiustizia sono le loro spade. 6 Nel loro consiglio non entri la mia persona; nel loro congresso non ti unire, o mio onore: perocché nella loro collera uccidono un uomo, e nella loro calma storpiano un bue. 7 Maledetta la loro collera, poiché è feroce; e l’ira loro, poiché è inflessibile! Voglio dividerli in Giacobbe, e sparpagliarli in Israel.”
Lo spunto di riflessione, anche alla luce delle dure parole di Giacobbe, è l’azione eseguita dai due fratelli. Loro hanno agito su un’onda di rabbia a seguito dello stupro della sorella o la violenza subita è stata solo una scusa per sfogare una aggressiva violenza materiale che già era presente dentro di loro? Il fatto che essi abbiano chiesto la conversione per indebolire fisicamente gli avversari, fa pensare che loro avessero già l’idea di aggredire materialmente il popolo di cui fa parte Sichem? La seconda ipotesi ce la dà Giacobbe quando esprime il desiderio di vedere i discendenti dei suoi due figli, sparsi per la terra e non riuniti e ci specifica che da irati uccidono un uomo e da calmi storpiano un bue.
GIUSEPPE: La storia di questo personaggio è lunga e complessa nei significati. Nell’arco della sua intera vita si nota bene come egli riesca sempre, grazie al dono fattogli da D-o di interpretare i sogni e alla sua scaltrezza, a superare le avversità che si presentano. Nonostante egli, in giovanissima età, sia stato venduto a una carovana dai suoi fratelli gelosi, riesce a diventare in futuro un uomo di fiducia del Faraone. Non solo, diviene il secondo uomo più importante di tutto l’Egitto e, a conferma della sua capacità di interpretare i sogni, vive anche la realizzazione del sogno che vede i suoi fratelli in ginocchio davanti a lui.
MANASSE: Figlio di Giuseppe e Assenàth. Il suo nome è così motivato:
“51 Giuseppe pose nome al primogenito Manasse, (dicendo:) Poiché Iddio mi ha fatto dimenticare tutte le mie pene, e tutta la mia casa paterna [cioè l’invidia e l’odio dei fratelli].”
Da queste parole sembra che, con la nascita del figlio, Giuseppe voglia mettere una pietra sopra la lunga strada di invidia e gelosia dei fratelli verso di lui. Non giudico chiarissimo se anche Giuseppe, in quanto uomo, possa aver ricambiato odio o pietà per il trattamento ricevuto. Reputo quasi certo, invece che Giuseppe, con le sue parole, consideri la nascita di Manasse, come l’inizio di una nuova vita fatta di assenza di odi, gelosie e invidie.
EFRAIM: Secondo figlio di Giuseppe e Assenàth. Il suo nome è così motivato:
“52 Ed al secondo pose nome Efraim, (dicendo:) Poichè Iddio mi fece prolificare nel paese della mia miseria.”
Questa frase, seppur breve, è molto complessa. Non è chiaro se con il termine “prolificare nel paese della mia miseria.” voglia intenderla come realtà in cui vive (quindi sia riuscito a prolificare in una terra avara di materie utili al sostentamento); se voglia intenderla come morale (cioè abbia considerato un grande successo aver superato le gelosie dei fratelli); o voglia intenderla come spirituale (cioè aver trionfato su un periodo fatto di sentimenti negativi dentro di sé). In seguito, nella scena della benedizione da parte di Giacobbe, egli sceglie Efraim come primogenito anziché Menasse. Quando Giuseppe fa notare al padre questa cosa, egli dice:
“19 Ma suo padre ricusò, e disse: Lo so, figlio mio, lo so: anche quello formerà un popolo, ed anche quello diverrà potente: però suo fratello minore diverrà più potente di lui, e la sua discendenza sarà un aggregato di popolazioni. ”
Quindi l’iniziale intenzione di Giuseppe di giustificare il nome del figlio, potrebbe attribuirsi a una reale capacità di vivere, crescere e moltiplicarsi in territori non idonei.
SCIFRÀ e PUÀ: Esse sono le due ostetriche a cui il Faraone ordina di uccidere ogni nascituro ebreo maschio, poiché ha paura che il popolo ebreo divenga troppo potente. Esse però, per timor di D-o, non eseguono gli ordini e lasciano vivere i nascituri. Benché l’episodio venga raccontato velocemente e marginalmente, ha spunti molto profondi e molto validi. Innanzitutto è scritto:
“15 Indi il re d’Egitto disse alle ostetrici delle Ebree, delle quali l’una aveva nome Scifrà, e l’altra Puà. 16 Disse cioè: Quando assisterete al parto le Ebree, osserverete sopra la seggiola [o: sul vase da lavare il neonato]: s’egli è un figlio, lo farete morire; e s’è una figlia, viva pure.”
Il Faraone, teme sempre di più che il popolo ebraico si rafforzi e divenga incontrollabile. Ordina quindi di colpirlo su ciò che all’epoca era la colonna portante di ogni “società” o collettività di persone: la nascita dei figli maschi. Senza la gioventù, la forza, la tenacia e la freschezza dei giovani uomini, tutto diventava più difficile: non si sarebbe potuto creare un esercito di forti soldati; non si sarebbe potuto coltivare la terra in maniera approfondita e si sarebbe al contrario leso l’entusiasmo delle famiglie senza figli maschi. Per fare tutto ciò, ordina infatti a Scifrà e Puà di uccidere ogni nascituro ebreo maschio.
“17 Però le ostetrici temettero Iddio, e non eseguirono quanto avea loro ordinato il re d’Egitto, ma lasciarono vivere i fanciulli. 18 Quindi il re d’Egitto chiamò le ostetrici, e disse loro: Com’è che faceste tal cosa, che avete cioè lasciati vivere i fanciulli? 19 Le ostetrici dissero a Faraone: Perché le donne Ebree non sono come le egizie, ma sono vigorose: innanzi che l’ostetrice sia venuta a loro, hanno già partorito.”
Le ostetriche temono D-o e quindi non eseguono gli ordini. Esse vengono chiamate a dare spiegazioni e rispondono al Faraone che le nascite sono comunque riuscite perché le donne ebree, rispetto alle egizie, sono molto più vigorose. Tralascerei il corpo della bugia in sé, cioè la qualità del vigore delle varie donne, mi fermerei invece su due punti cruciali: la bugia che le ostetriche dicono al Faraone e il loro rifiuto. Partiamo da quest’ultimo. Le due donne fanno un lavoro la cui principale filosofia è “portare alla luce una nuova vita”. Quindi ricevere un ordine di eliminazione, di neonati maschi, le mette oggettivamente davanti a una scelta: obbedire al cuore che le porta ad essere ostetriche e quindi portatrici di vita o obbedire e diventare assassine al soldo della morte? Perché eseguendo gli ordini del Faraone, questo sarebbero diventate. Inoltre è scritto:
“…disse alle ostetrici delle Ebree”
Questo ci fa capire che esse erano egiziane (inoltre non sembra probabile che il Faraone potesse ordinare un “massacro” di neonati maschi a ostetriche ebree che al di là dell’amore verso il proprio popolo provano anche timore e amore verso il Signore), il che, rendeva loro ancor più ardua la scelta. Considerazioni queste che ci portano all’altro punto: la bugia al Faraone. Non eseguono gli ordini perché temono Iddio ed esse lo temono come “non ebree”. In realtà, come egizie, dovrebbero venerare i loro Dei e riconoscere il Faraone come “Dio” fra gli uomini. Alla luce di questo, ogni suo ordine dovrebbe essere stato considerato come sacro. Loro invece temono di più il Signore Iddio e scelgono la vita. Non è scritto nero su bianco, ma questo oggettivamente porta alla luce come il Signore Iddio avesse incuneato timore e assoggettazione anche in varie persone di altri culti e di altri popoli in contatto con quello ebraico. Iddio per tutto ciò le premia, infatti è scritto:
“20 Iddio beneficò le ostetrici, ed il popolo divenne numeroso e folto oltremodo. 21 Ora, poiché le ostetrici temettero Iddio, egli fece loro delle case [cioè famiglie, vale a dire diede loro numerosa figliuolanza]. “
MOSÈ: Paradossalmente la storia di Mosè è talmente ampia e ricca di significati, che alla fine si riduce ad un solo attributo, che, con lui, attraversa tutti i suoi tribolati 120 anni di vita. A quanto viene scritto, però egli sembra non risentirne:
“7 Mosè aveva quando morì cento vent’anni; non erasi oscurata la sua vista, né era sparita la sua freschezza.”
È forse una di queste ultime frasi dedicate a Mosè nella Torah, che ci fa capire la levatura fisica e spirituale del personaggio, nonché la sua aurea che lo fa oscillare tra la storicità e la leggenda e crea dibattito in vari ambienti accademici. Dopo 1 20 anni di dure prove, tribolazioni, scontri più o meno pesanti con la “vita” stessa, egli muore ancora “fresco e con un buona vista”. La sua vita attraversa momenti simbolici profondi, a partire dalla nascita:
“1 Un uomo della famiglia di Levi era andato ed aveva preso una figlia di Levi. 2 La donna, divenuta incinta, partorì un figlio; e vedendo ch’era buono, lo tenne nascosto per tre mesi. ”
Dall’abbandono nelle acque del Nilo, fino ad arrivare alla sua morte sul monte Nevo:
“1 Indi Mosè salì dalle pianure moabitiche sul monte Nevo…”.
Tutto questo, includendo il racconto del “roveto in fiamme”, la “consegna delle leggi di Iddio”, la “fuga dalla schiavitù d’Egitto” e tanto altro. In tutto il racconto della sua vita, c’è un elemento comune che fa da filo conduttore al di là dell’immenso amore e Fede che manifesta verso D-o, cioè che Mosè è un uomo d’ordine. “Ordine” non inteso come comando o imperativo da eseguire, ma “ordine” inteso come colui che riorganizza il popolo schiavo in Egitto e lo porta fino ai confini della Terra Promessa, esattamente come Il Signore Iddio vuole. In tutti i suoi racconti, la necessità di “organizzare” e “ordinare” è palese. Già in Egitto è facile immaginare che la vita del popolo israelita non fosse facile (come abbiamo potuto leggere nell’episodio di Scifrà e Puà), inoltre visti i timori del Faraone è facile pensare che non avrebbe concesso loro di instaurare una direzione politica sociale atta a rafforzare ancor di più la coesione di un popolo che faceva paura al Re d’Egitto proprio perché visto come in fase di potenziamento. Quindi, come l’episodio della Torre di Babele insegna, un’organizzazione sociale era divenuta indispensabile per poter fuggire dalla schiavitù. Attenzione, non mi si fraintenda: il supporto della guida e dell’azione del Signore è fondamentale, io scrivo riguardo solo all’attributo di Mosè. Infatti, il Signore parla a Mosè e lo guida nel suo cammino terreno e nel cammino del popolo eletto. La necessità di organizzare le genti, l’esercito e di codificare la vita sociale e religiosa è emblematica anche in seguito, ove Iddio parla a Mosè e gli dice di fare un censimento, gli dice come e con cosa costruire gli arredi sacri, gli parla di come comportarsi con le malattie e detta a lui le regole familiari del cibo, dell’eredità e tanto altro.
ARONNE: Egli è fratello di Mosè e Miriam. Credo si possa definire la sua vita quasi tutta incentrata ad affiancare Mosè. Delle vicende a lui legate, prendo in esame il fatto che egli fu il Primo Sommo Sacerdote del Popolo Ebreo, quindi l’origine.
LEVI: Egli è figlio di Giacobbe e Lia, capostipite dei Leviti, gli unici ammessi all’officio del culto di D-o:
“48 Ed il Signore parlò a Mosè, con dire: 49 Però i figli di Levi non devi registrare, né farne l’enumerazione, cogli altri figli d’Israel [poiché non devono formar parte dell’esercito]. 50 Devi invece incaricare i Leviti della cura del tabernacolo della Legge e di tutt’i suoi arredi, e di quanto gli appartiene; eglino porteranno il tabernacolo e tutt’i suoi arredi, ed eglino ne saranno i ministri, ed intorno al tabernacolo stanzieranno.”
C’è molto da riflettere su tutto ciò. Levi è colui che il padre Giacobbe maledice in punto di morte insieme al fratello Simeone per gli orrori commessi (si veda pagina dedicata a Dinà). Ma a quanto si legge sopra, il Signore conferisce ai leviti (tribù discendente da Levi) l’esclusività dell’officio del culto di Dio. Questo, secondo me, è un grandissimo onore, quindi mi viene da pensare che possa essere successo qualcosa nella storia di Levi che va dalla morte di suo padre fino alle generazioni future dei Leviti. Ciò che mi fa riflettere è come il peccato di Adamo e Eva viene esteso all’umanità (il parto con dolore, il bisogno di lavorare ecc.) e in questo caso invece, sembra non essere così. Potrebbe ben essere che la maledizione di Giacobbe si sia avverata, che Levi con la sua tribù abbia subito una diaspora per il mondo e ciò l’abbia portato a purificarsi dei propri peccati giovanili.
ELEAZZARO: Figlio di Aronne è colui che è incaricato di curare e vigilare la soprintendenza dei luoghi, gli oli e tutti gli altri paramenti Sacri. Alla morte del padre, prende il suo posto di Sommo Sacerdote, a quanto possiamo leggere:
“Quivi morì Aronne e vi fu seppellito, e gli succedette nel (sommo) sacerdozio Eleazzaro suo figlio.”
Il Sommo Sacerdozio passa di padre in figlio, in una sorta di successione rituale. Eleazzaro quindi passa tutta la sua vita a custodire “oggetti” Sacri e a vegliare, dirigere e officiare riti fondamentali per la spiritualità del popolo ebraico.
TAVERÀ: Nella Torah si legge:
“1 Ora il popolo mostravasi malcontento, (e parlava) male verso il Signore; e ciò udito dal Signore, s’accese il suo sdegno, ed un fuoco del Signore arse in essi, e andò divorando l’estremità del campo. 2 Il popolo sclamò a Mosè e Mosè pregò al Signore, ed il fuoco scomparve. 3 Indi quel luogo ebbe il nome di Taverà, poiché arse in essi il fuoco del Signore.”
Il Signore ha tratto il popolo fuori dalla schiavitù d’Egitto, l’ha riunito, ha dettato loro delle regole ed ha manifestato la Sua onnipotenza con una serie di miracoli. Nonostante tutto, parte del popolo non era contento e quasi Lo sfidava apertamente, sparlando di Lui. Allora Iddio si accese di sdegno e fece bruciare parte dell’accampamento. Il popolo visto ciò corse da Mosè a chiedere che fosse placata la Sua ira e Mosè intercedette placando Iddio. Il luogo prese nome di Taverà, perché lì bruciò il fuoco del Signore. In questo caso è molto chiaro l’atteggiamento di maldicenza del popolo verso Iddio, e un popolo però che non ha coraggio per supportare le proprie azioni. Infatti, appena il fuoco divampa, corre da Mosè a chiedere aiuto.
KIVRÒT HATTAAVÀ: L’episodio di Taverà prosegue. Si legge:
“4 La turba poi straniera ch’era tra essi si mosse a concupiscenza, quindi piansero anche i figli d’Israel, e dissero: Oh ci fosse dato di mangiar carne!”
Il popolo ha fame, o quantomeno non è felice di ciò che ha, quindi il malumore serpeggia tra la gente. Rimpiange i giorni della schiavitù egiziana, dove almeno c’erano frutta e carne. Posso decifrare in questo particolare episodio una sorta di malumore che possa colpire D-o. Egli ha istruito Mosè poiché riuscisse a liberare il popolo dalle catene e loro rimpiangono i giorni in cui erano sottomessi? Non potrei pensare a qualcosa di più ingrato. In seguito si legge:
“31 Ed un vento si mosse (mandato) dal Signore, e trasportò d’oltre mare le quaglie, e le gettò sopra il campo, per lo spazio di una giornata di cammino dall’una parte e dall’altra, intorno al campo, ed all’altezza di circa due braccia dalla superficie della terra.”
D-o a questo punto decide di esaudire le richieste del popolo che desidera ardentemente la carne, inviando loro un grandissimo stormo di quaglie. I volatili sono talmente tanti, che a quanto sembra soddisfano in pieno i desideri della popolazione.
“32 Ed il popolo si alzò, e per tutto quel giorno, e per tutta quella notte, e per tutto il dì seguente, raccolse le quaglie, chi meno ne raccolse ne raccolse dieci mucchi; e le distesero intorno al campo.”
Le genti non perdono l’opportunità di poter sfruttare tutta quella grande quantità di uccelli e quindi ne raccolgono più che possono. Addirittura si impegnano nel raccolto, giorno e notte.
“33 Avevano ancora la carne tra i denti, ancora non era consumata, e l’ira del Signore s’accese contro il popolo, ed il Signore fece nel popolo una strage grandissima. 34 E quel luogo fu chiamato Kivròt hattaavà [i sepolcri della concupiscenza], perché ivi seppellirono i concupiscenti.”
Ma il Signore Iddio non sembra essere felice di ciò e quindi fece una grande strage nella popolazione. Andando per ordine, il popolo vuole la carne tanto da rimpiangere sembra la schiavitù d’Egitto. D-o soddisfa le loro richieste, ma il Signore li punisce. Il punto focale del racconto secondo me, è che il Signore aiuta ancora una volta il popolo, ma esso non fa un uso corretto e veritiero del regalo avuto, ma ne fa un uso scorretto. Il popolo aveva fame, avrebbe dovuto mangiare il necessario, ciò di cui aveva realmente bisogno. In realtà, il popolo sembra non riuscire a frenare l’ingordigia e l’avidità davanti a tantissimo cibo e quindi cade nella concupiscenza (ovvero la materia domina lo spirito). Alla luce di ciò vengono puniti con una grande strage di concupiscenti.
MIRJÀM: Sorella di Mosè e Aronne. Ella un giorno parla male della moglie etiope di Mosè, con il fratello Aronne. Il Signore la punisce per questo con la lebbra. Mosè però intercede per lei e chiede pietà a D-o, ed Egli allora la cura ma ordina di lasciarla fuori dal campo per 7 giorni e 7 notti. Raccontando l’episodio in maniera così estremamente riassuntiva si può notare come Mirjàm fosse mal disposta verso la moglie di Mosè e come il Signore Iddio si appresta a punire velocemente la maldicenza, dimostrando ancora una volta grande fiducia e protezione verso Mosè. Tant’è che è scritto:
“6 E disse: Ascoltate le mie parole. Se uno di voi è talvolta profeta, io, il Signore me gli rivelo in visione, e gli parlo in sogno. 7 Non è così del mio servo Mosè: egli gode la mia fiducia più di tutti gli altri di mia casa [cioè più d’ogni altro mio servo, più d’ogni altro profeta]. 8 Io gli parlo [per così dire] a bocca a bocca, con chiarezza e senza enigmi; ed egli contempla la divina apparizione; e come non avete temuto di dir male del mio servo Mosè?”
Ancora a rimarcare tale fiducia, Iddio ascolta le preghiere di Mosè, quando egli chiede di guarire la sorella. Il Signore infatti lo esaudisce, ordinando però che ella venga tratta fuori dall’accampamento per 7 interi giorni.
SCIAMMÙA, SCIAFÀT, CALEB, IGÀL, HOSCEA, PALTÌ, GADIÈL, GADDÌ, AMMIEL, SETHÙR, NAHBBÌ, GHEUÈL: Essi sono i nomi dei 12 esploratori inviati da Mosè a indagare sulla terra di Canaan. Vi è scritto:
“1 Ed il Signore parlò a Mosè, con dire: 2 Manda pure alcuni uomini, ch’esplorino il paese di Canaan, ch’io sono per dare ai figli d’Israel. ”
I dodici uomini partono per l’esplorazione, però prima Mosè cambia nome a Hoscea, nominandolo Jehosciùa (Giosuè). Essi si avventurano per i territori e ricercano tutto ciò che è stato indicato loro: quanto è numerosa la popolazione avversaria, quanto è forte, come è la terra che abita, come sono le città, se essi vivono all’aperto o in fortificazioni e se c’è abbondanza di alberi o no. Viene chiesto loro di riportare anche dei prodotti del luogo. Essi eseguono il compito a loro affidato e al ritorno danno le indicazioni richieste:
“Siamo stati nella terra, ove ci mandasti, ed anche (abbiamo riconosciuto che) scorre latte e miele, e questi sono i suoi prodotti. 28 Però il popolo che abita quel paese è fortissimo, e le città sono munite e grandi oltremodo; ed ivi abbiamo anche veduto uomini di razza gigantesca.”
Gli avversari come si legge sembrano essere temibili e dieci esploratori quindi temono di essere uccisi in caso di attacco. Giosuè e Caleb no, entrambi si fidano del Signore Iddio e sanno che con Lui al fianco nessuna prova è insuperabile. Il popolo però è come sempre dubbioso e pieno di incertezze verso il Signore, tant’è che fra grida e agitazione vorrebbe prima eleggere un nuovo capo e, successivamente, che questi li riporti in terra d’Egitto. Caleb e Giosuè cercano di calmare gli animi ripetendo che il Signore vuole il loro bene e non li abbandonerà. Per l’ennesima volta però il popolo non ha fiducia verso D-o e quindi Egli si adira (giustamente) poiché dopo tutto quello che ha fatto per loro e le dimostrazioni di grandezza che ha dato, il popolo è ancora incredulo.
Tutto il racconto poi prosegue con le vicissitudini della punizione di D-o. Il punto sostanziale del racconto è che dieci esploratori su dodici non credono che sia possibile la vittoria, di conseguenza non hanno cieca fiducia verso il Signore Iddio. La loro sfiducia è contagiosa, tant’è che va a tirare fuori ancora una volta quel malcontento generale verso D-o, insito nel popolo. Il loro comportamento “poco credente” mette ancor di più in risalto l’assoluta Fede che Giosuè e Caleb hanno nel Signore.
CORAHH, DATHAN, AVIRÀM, ON: Questi sono i nomi dei quattro uomini che fomentano una rivolta contro Mosè e Aronne, guidandone altri 250 contro di essi. I quattro contestano principalmente due cose: il fatto che solo Mosè e suo fratello possano parlare con il Signore e il fatto che il popolo stia “girovagando“ per il deserto in preda a scarsità di prodotti, quando invece potrebbe tornare in Egitto. Iddio è furioso per questa rivolta e una volta che Corahh, Dathan, Aviràm e On, con i duecentocinquanta uomini, si ritrovano radunati davanti a Lui, Egli distrugge “sembra tutti e quattro” in un attimo facendo ingoiare dal terreno, loro le loro tende, le loro famiglie e tutti i loro possedimenti. In seguito i duecentocinquanta uomini che li supportavano, sembrano sparpagliarsi impauriti per evitare di essere inghiottiti a loro volta, ma il fuoco del Signore appare in un attimo e li divora tutti. Alla luce di questi fatti, che ancora una volta ci ricordano come il popolo fosse sensibile alla scarsità di prodotti (benché in libertà) rispetto a un più florido Egitto (benché in catene), possiamo associare a Corahh, Dathan, Aviràm e On, l’attributo dell’“invidia” e la “cura di essa”, poiché è quasi impossibile non leggere in questo episodio un certo rancore e gelosia verso Aronne e Mosè per il fatto che fossero gli interlocutori del Signore.
SARÀF: Mosè si sta muovendo dal monte Hor verso il Mar Rosso, ma il popolo, dubbioso come sempre, dimostra non molta tolleranza verso il viaggio. Quindi ancora una volta il malcontento si manifesta con agitazione, maldicenze e proteste. Così è scritto:
“ed il popolo divenne impaziente, a cagione di tale viaggio. 5 Ed il popolo sparlò di Dio e di Mosè (e dissero): Perché ci avete tratti dall’Egitto, a morire nel deserto? mentre qui non havvi né pane, né acqua, e l’animo nostro è ristucco del cibo leggerissimo [la Manna].”
Il Signore Iddio ancora una volta è costretto a punire gli atti del popolo israelita e manda tra di essi i serpenti perché essi mordano le genti e li facciano morire:
“6 Ed il Signore mandò nel popolo i serpenti (detti) Saràf [brucianti, micidiali], i quali morsicarono il popolo, e molta gente d’Israel ne morì.”
Il castigo di D-o sembra compiersi, quando al solito il popolo impaurito dalla potenza del Signore si accorge di aver esagerato e corre quindi da Mosè a chiedere la Grazia. Iddio ascolta le parole del suo Profeta:
“7 La gente andò da Mosè, con dire: Abbiamo peccato, avendo sparlato del Signore e di te. Prega al Signore, che tolga da noi i serpenti. E Mosè pregò in favore del popolo.”
in seguito:
“8 Ed il Signore disse a Mosè: Fatti un Saràf, e lo poni sopra una pertica, ed ognuno che sarà morso, lo guarderà e guarirà.”
Quindi il Signore ascolta le parole di Mosè e decide di prenderne atto. Dice a lui come fare a sanare il popolo che ormai è pentito per ciò che ha fatto, creando un serpente di rame che verrà collocato sopra una pertica e che darà modo di guarire a coloro che lo guarderanno. Saràf come è scritto, quindi è il serpente bruciante e micidiale, lo strumento della punizione di D-o, che alla fine fa pentire il suo popolo.
BILEÀM: La storia di Bileàm contiene delle contraddizioni, ma forse esse servono per rafforzare la simbologia del personaggio. Inoltre io le ho trovate anche rafforzate dal contesto magico/spirituale a cui il personaggio è associato. Andando per ordine, Balàk, che è Re di Moab, vede che gli israeliti stanno vincendo sui loro avversari. Essi stanno sostando nelle pianure della terra di Moab e lui teme veramente di essere il prossimo a cadere. Allora decide di chiedere aiuto a Bileàm perché maledica il popolo di Israele.
Bileàm in questo frangente sembra essere un conoscitore della magia, uno stregone o quanto meno una persona che riesce a vedere ciò che gli altri non riescono. Gli inviati di Re Balàk arrivano a destinazione, ma Bileàm riceve da D-o l’ordine di non partire, perché non deve maledire il popolo fuggito d’Egitto in quanto benedetto. Re Balàk riceve il rifiuto e temendo ancora, invia di nuovo degli uomini più importanti e con grandi ricchezze a chiedere soccorso a Bileàm. Questa volta D-o dice a Bileàm di andare, ma di fare solo ciò che Iddio gli ordinerà. Così Bileàm sella la sua asina e parte. Durante il viaggio però, la ciuchina si ferma di colpo perché vede un Angelo del Signore davanti a lei. Bileàm non riesce a vederlo quindi colpisce più volte l’asina arrecandole dolore. L’animale però non si muove intimorita dall’Angelo e riceve il miracolo della parola:
“ed ella disse e Bileàm: Che cosa ti feci, per cui mi battesti già tre volte? 29 E Bileàm disse all’asina: (Lo feci) perché ti prendi giuoco di me. Se avessi in mano una spada, t’avrei già uccisa. 30 E l’asina disse e Bileàm: Non sono io la tua asina, che cavalcasti dacchè esisti sino a quest’oggi? Ho io mai usato di trattarti così? Ed egli disse: No.”
A questo punto D-o concede a Bileàm la possibilità di vedere l’Angelo che gli dice che solo il comportamento timoroso dell’asina ha impedito che Bileàm stesso fosse ucciso. Allora Bileàm si pente di tutto e chiede all’Angelo cosa deve fare. Egli gli risponde che deve continuare il viaggio ma gli ordina di fare solo ciò che lui gli dirà. La storia prosegue tra la voglia di Balàk di dare tramite Bileàm la maledizione al popolo di Israele e D-o invece che tramite la bocca di Bileàm regala una benedizione. Questo succede alcune volte, fino a quando Balàk si infuria, ma non può fare assolutamente niente contro il potere di D-o. Il popolo quindi riceve solo benedizioni dallo “stregone” Bileàm”, al contrario di quanto sperato da Balàk.
Ho riassunto i fatti salienti. In questo caso si può pensare che visti gli eventi, Bileàm sia, se non un mago, quantomeno qualcuno che ha dimestichezza con le energie sottili, con la natura e con almeno la magia in generale. Altrimenti non si può spiegare perché egli viene richiesto con tanta insistenza. Bileàm però, prima di far qualcosa, ascolta la parola di D-o e si affida ad essa. Questo è un punto molto importante. Secondo punto importante è l’episodio della ciuchina: sia l’animale che l’uomo ricevono un dono dal Signore. Tale dono può definirsi un miracolo, ma anche “magia” visto come tutto accade e a chi accade. L’ordine di proseguire il viaggio e di seguire gli ordini del Signore Iddio sembra proprio sottolineare l’idea di quanto pensato fino ad ora: la magia esiste (potremmo ricordare il miracolo “magico” di Giacobbe con il bastone di pioppo, castagno, nocciolo e le conche d’acqua) ma solo la Grazia e la Potenza del Signore Iddio può consegnarla nelle mani dell’Essere Umano. Alla luce di ciò è emblematico come Bileàm possa benedire il popolo grazie a D-o, più volte. Facendo una parentesi esterna a questo studio sulla Torah, vorrei dire che le opinioni sulla magia, cosa è, come si interpreta e da cosa deriva, sono molteplici e alcune anche agli estremi fra loro. Io, nel mio piccolo, mi sono permesso di parlare di “magia” o “episodi magici” nella Torah perché sono una persona convinta che la magia sia una capacità che ha l’Uomo di manipolare le forze naturali grazie e solo a D-o, che ne regala la capacità, e con essa quindi diventa manifestazione della Gloria e della Grazia del Signore. Potremmo in parole povere definire la “magia” come un miracolo di Iddio, manifestato attraverso l’Uomo.
MA-PAÀL-EL: Nel racconto che vede protagonista Bileàm egli riporta a Balàk le parole del Signore, in cui c’è questo passo:
“Sì, Giacobbe, chiamato altresì Israel, deve ancora chiamarsi Ma-paàl-El [Oh! quali cose ha preparato Iddio! Vale a dire: Gli conviene ancora un terzo nome, il cui significato sia: Destinato da Dio a grandi cose].”
Sembra chiaro che l’aggiunta del nome sia un “marchio” divino di grandi traguardi raggiunti. Si pensi a quando Giacobbe viene chiamato da Iddio col nome di Israel per indicare la sua vittoria contro di Lui. In questo caso avere l’appellativo in futuro di Ma-paàl-el significa aver raggiunto grandi traguardi con l’aiuto di D-o.
PINEHHÀS: Egli è figlio di Eleazzaro, quindi nipote di Aronne. Nella Torah è scritto:
“10 Ed il Signore parlò a Mosè, con dire: 11 Pinehhàs figlio d’Eleazzaro, figlio d’Aronne sacerdote, fece retrocedere la mia ira d’in su i figli d’Israel, mostrandosi zelante per me [vendi- cando l’oltraggio a me fatto] ond’io non sterminai i figli d’Israel nella mia indignazione. 12 Quindi annunziagli, ch’io gli do la mia promessa di pace [cioè di benivoglienza]. 13 Questa sarà per lui, e per la sua progenie dopo di lui, una promessa di sacerdozio perenne; in premio che mostrò zelo pel suo Dio, e con ciò propiziò pei figli d’Israel.”
Il Signore Iddio è adirato con il popolo, per cui vuole punirlo ancora una volta. Pinehhàs, si rivolge a D-o e placa la sua ira verso gli israeliti. Iddio si rivela molto colpito dall’intercessione di Pinehhàs, per cui rinuncia a fare una strage tra il popolo di Israele e ricompensa Pinehhàs e i suoi discendenti, con il Sacerdozio perenne.
MAHHLÀ, NOÀ, HHOGLÀ, MILCÀ, TIRSSÀ: Nella Torah vi è scritto:
“1 Allora s’avanzarono le figlie di Sselofhhàd, fìglio di Hhèfer, figlio di Ghileàd, figlio di Machìr, figlio di Manasse, appartenente alle famiglie di Manasse figlio di Giuseppe [cioè Sselofhhàd non avendo avuto figli, non formava una famiglia a sè]; e questi sono i nomi delle sue figliuole: Mahhlà, Noà, Hhoglà, e Milcà, e Tirssà. 2 Si presentarono a Mosè, e ad Eleazzaro sacerdote, ed ai principi, ed a tutta l’assemblea, all’ingresso del padiglione di congregazione, con dire: 3 Nostro padre è morto nel deserto; egli però non fece parte della congrega di coloro che si sollevarono contro al Signore nella lega di Còrahh [nel qual caso avrebbe potuto rimanere ingojato dal terreno, insieme coi figli, e forse poteva la legge condannare anche il suo nome all’obblivione]; ma, per qualche suo peccato, è morto senz’aver figli. 4 Perché ha da mancare il nome di nostro padre di mezzo agli altri della sua famiglia, per non aver avuto alcun figliuolo? Assegna a noi una possessione, in mezzo ai fratelli di nostro padre. 5 E Mosè presentò la loro quistione al Signore. 6 Ed il Signore disse a Mosè, quanto segue: 7 Rettamente parlano le figlie di Sselofhhàd. Tu devi assegnar loro una possessione ereditaria in mezzo ai fratelli del loro padre, farai cioè passare in esse il retaggio spettante al padre loro. 8 Ed ai figli d’Israel parlerai, con dire: Quand’uno muoja, e non abbia alcun figlio, trasporterete il suo retaggio nella sua figliuola. 9 E se non ha alcuna figlia, darete la sua eredità ai suoi fratelli. 10 E se non ha fratelli, trasporterete la sua eredità nei fratelli di suo padre. […]”
Riporto un lungo pezzo del brano per far capire come le figlie Mahhlà, Noà, Hhoglà, Milca e Tirssà, con la loro richiesta diano le basi al Signore per poter dettare le regole di eventuali “eredità”. Qui il sentimento che si percepisce è che esiste una forte volontà di far ereditare i propri averi all’interno delle famiglie pur in assenza di figli maschi, per avere, anche nei possedimenti una linea di continuità e di benessere (o comunque un minimo di base patrimoniale per la famiglia). L’episodio quindi, benché possa sembrare breve e marginale, diviene un importante motivo di riflessione.
GIOSUÈ: Già Hoscea figlio di Nun è, come già scritto, uno dei dodici esploratori andati in ricognizione nelle terre di Canaan. Uno dei soli due che riporta buone notizie avendo Fede nel Signore. Verso la fine dei giorni, Mosè lo nomina suo successore, così come vi è scritto:
“22 E Mosè fece come il Signore gli comandò: prese Giosuè, e lo presentò ad Eleazzaro sacerdote, ed a tutta l’assemblea. 23 Gli posò le mani sul capo, e lo nominò (suo successore), com’il Signore ha ordinato per l’organo diMosè.”
Mosè come si può leggere, esegue l’ordine di D-o di nominare Giosuè come guida del popolo ebraico. Questo avviene nel più solenne dei modi, infatti, per ordine del Signore viene presentato al Sommo Sacerdote Eleazzaro e a tutta l’Assemblea, posandogli le mani sul capo.
GHERIZZÌM, EVÀL: Sono due monti indicati da D-o nella Torah:
“29 Ora, quando il Signore, Iddio tuo, t’avrà portato a quel paese, alla cui conquista tu sei per andare, porrai la benedizione sul monte Gherizzìm, e la maledizione sul monte Evàl [cioè: il popolo si collocò tra que’ due monti, ed i Leviti, nel centro del popolo, recitarono, volti verso il Gherizzìm, le benedizioni, e rivolti all’Evàl, le maledizioni. Il primo, abbondante di pascoli ed orti, venne fatto simbolo della prosperità; e l’altro al contrario nudo e sassoso, fu preso a rappresentare la celeste maledizione].“
Questi due monti, come possiamo leggere, hanno una valenza simbolica e sacra, poiché in essi possiamo riconoscere l’uso della recitazione delle benedizioni e delle maledizioni. Le benedizioni sono associate al monte Gherizzìm poiché è abbondante di pascoli e di natura e quindi simbolo di prosperità, le maledizioni invece sono associate al monte Evàl che rappresenta la maledizione celeste poiché è sassoso e scarno.
ZEVULUN: Figlio di Giacobbe e Lia. Riceve da Mosè morente, una benedizione:
“18 Ed a Zevulùn disse: Godi, Zevulùn, nel tuo uscire”
Non è chiaro se Mosè si riferisca con la parola “uscire” all’atto di “andar fuori” per la guerra, per il commercio o per portare la parola del Signore, o addirittura per altri motivi. La frase porta a pensare che Zevulùn abbia a che fare con qualcosa che è in continuo movimento.
ISSACHÀR: Figlio di Giacobbe e Lia. Riceve da Mosè morente, una benedizione:
“e tu, Issachàr, ne’ tuoi padiglioni. 19 Invitano le (loro) genti al (sacro) monte, e colà fanno pii sacrifizi; perciocchè succhiano le dovizie del mare, e i tesori sepolti nell’arena [cioè arricchiranno per la vicinanza del mare, trafficando coi Fenicj, v. Genesi XLIX. 13]”
Sembra da queste parole che a Issachàr sia da imputare un privilegio nel commercio e nel lavoro di fatica. Sembra altresì che tanto valido sarà il suo lavoro e il suo commercio, che saranno invitate le loro genti a fare sacrifici comandati sul monte sacro.
GAD: Figlio di Giacobbe e Zilpa. Riceve da Mosè morente, una benedizione:
“20 E per Gad disse: Benedetto quel (Dio) che allarga (i confini di) Gad! Stassi (Gad) coricato qual leonessa, e (repentinamente alzandosi) sbrana braccio e testa. 21 Egli si elesse le primizie [della conquista, cioè le terre di Sihhòn e d’Og, alle quali il nome di primizie conviensi anche nel senso di primario e nobile], poichè ivi è [sarà] il campo del legislatore, sepolto [ultimo sfogo del dolore di Mosè, condannato a morire fuori della Cananea]; indi marciò nelle prime file del popolo, ed agì con quella giustizia, e dietro quelle norme, ch’il Signore gl’impose.”
Da queste parole sembra che Gad eccella nell’opportunismo in battaglia, o quantomeno nella difesa del popolo e del territorio. Altresì nella parte finale si riconosce a lui una ferma obbedienza alle leggi di D-o.
DAN: Figlio di Giacobbe. Riceve da Mosè morente, una benedizione:
“22 E per Dan disse: Dan è un giovane leone, che si slancia giù dal Basciàn.”
NAFTALÌ: Figlio di Giacobbe. Riceve da Mosè morente, una benedizione:
“23 E per Naftalì disse: Naftalì abbonda del (celeste) favore, ed è ripieno della benedizione del Signore (che gli dice): Fa conquiste all’occidente ed al mezzodì.”
Naftalì sembra avere il favore di D-o e sembra essere stato benedetto da grandi conquiste in passato, nonché essere destinato ad esse in futuro.
ASCÈR: Figlio di Giacobbe. Riceve da Mosè morente, una benedizione:
“Benedetto, più degli altri figli, Ascèr! Sia il più favorito tra’ suoi fratelli, e tuffi nell’olio il suo piede. 25 Di ferro e rame è la tua chiusa [le tue terre saranno sicure, quasi fossero circondate da un muro di ferro]; e quanto la tua vita, altrettanto durerà la tua tranquillità. 26 Non havvi pari a Dio, o Jesciurùn [o: al Dio di Jesciurùn]. Egli cavalca i cieli (per venire) in tuo ajuto, e coll’alta sua potenza (vien giù) sulle nubi. 27 Tua difesa al di sopra è Iddio eterno, e qui basso (hai a tuo sostegno) braccia eterne [cioè lo stesso Iddio]. Egli scaccia d’innanzi a te l’inimico, e (ti) dice: Distruggi. 28 Sì, Israel avrà se- de tranquilla, isolata la sorgente [la progenie] di Giacobbe, in un paese di grano e mosto; ed il cielo anch’esso gli stillerà la rugia- da.”