NOTA:
Seguimi su Twitter @analphabeta.
Pagina facebook: European Tribal Art Gallery
————————————————————————–
Dalla Terra degli Spiriti alla Terra delle Origini, Arte Tribale a Serravalle
Nel mese di maggio 2016, il comune di Serravalle Pistoiese (regione Toscana, centro Italia) ha organizzato in collaborazione con la locale parrocchia di Santo Stefano, che ha messo a disposizioni i locali, un’esposizione, progettata da tempo, per far conoscere la mia espressione artistica che in questo stesso territorio prende direttamente origine. Tutto ciò per me è stato motivo di orgoglio.
In aggiunta a questo, le sinergie che si sono venute casualmente a creare fra la mostra e il patrimonio culturale riscoperto all’interno della Cappella, in cui essa è stata ospitata, hanno creato un ponte tra “passato e presente” tanto interessante quanto suggestivo. Per spiegare questo concetto, però, debbo compiere un passo indietro.
Come me, ci sono persone le quali credono che anche in Europa esista una “tribalità” che sia stata di fondamento per le società nell’antichità e che, attraversando i secoli, sia ancora viva.
Per quanto riguarda il passato, solo per portare alcuni dei molti esempi possibili, possiamo riconoscere tracce delle nostre radici, senza ombra di dubbio, in Sardegna nella civiltà dei Nuraghe e nei riti e nelle celebrazioni dei Mamuthones e degli Issohadores; nei resti megalitici di Scozia, Portogallo, Malta, Norvegia e Irlanda; nei culti greci; nelle celebrazioni pagane precristiane in Austria e in Romania; nei rituali di tutti i popoli nomadi e stanziali costieri; nelle danze rituali bulgare; nelle tradizioni cultuali della Romania e in tanti altri luoghi e in tutte le epoche, con tantissimi tipi di manifestazione.
Oggi, l’Arte Tribale Europea è rintracciabile nelle cosiddette “tribù contemporanee”, nuovi comunità di persone, aggregatesi in gruppi legati dai più svariati motivi socio-economici, che condividono territorio, dialetto, modo di comunicare, risorse, culto, cultura enogastronomica, cerimonie, superstizioni, etc.
Dice Arnaldi del MAP, il Museo di Arti Primarie, di Vendone (SV), getta lo sguardo oltre i “canoni” classici con cui oggi viene definita la tribalità nel mondo e definisce tutto questo in maniera più specifica, parlando di “arte primaria”:
“Comunemente le Arti primarie sono l’espressione artistica delle culture extraeuropee, in particolare quelle Africane, Oceaniche e Asiatiche finalizzate ad evocare stati di coscienza più che a rappresentare una specifica realtà, ma si può definire Arte Primaria ogni manifestazione creativa che evoca una dimensione archetipica, al di là del tempo e del luogo in cui è stata pensata e realizzata, e che rimanda all’essenza dell’esperienza umana. In questo senso il linguaggio delle Arti Primarie è usato fin dai tempi delle Incisioni Rupestri per indagare il Mistero della Vita (nascita, morte, gioia, dolore…) e tentare di governarlo”.
In qualunque modo vogliate chiamarla, questa forma d’arte esiste, travalica il tempo e lo spazio, giungendo fino al mondo contemporaneo, ed è anche testimonianza di un territorio che riassume l’archetipo e tutte le sue caratteristiche di cui è composta. Ecco, perciò, potremmo dire che a Serravalle Pistoiese si è creato, in qualche modo, proprio questo suggestivo ponte tra “ieri e oggi”.
La mostra è stata alloggiata nel punto più alto del paese, dove, intorno al XIII secolo, per volontà del Vescovo Soffredo Soffredi, fu edificata la Chiesa di Santo Stefano. La struttura religiosa conserva ancora molte tracce della sua origine romanica. Al suo interno sono inoltre presenti due statue dedicate a Santo Stefano appunto e al patrono di Serravalle Pistoiese, San Lodovico (dato che ho accennato a simboli, archetipi e ancestralità, aggiungo un paio di curiose coincidenze: il Patrono è nato il 9 febbraio 1274, io il 9 febbraio 1975; la via dove abito è dedicata allo scultore che ha realizzato il grande Crocifisso all’interno della Chiesa). A fianco del lato destro della pieve, si trova la Cappella del SS. Sacramento in cui è stata allestita la mostra.
Oltre ad aver ospitato le mie “bambole rituali”, la Cappella, che è sede della Compagnia del SS. Sacramento, custodisce anche una grande ed elaborata “Croce della passione”. Quest’osservazione mi da il là per rievocare uno spaccato della nostra società, un tempo molto legata al territorio e alle sue usanze, quello delle cosiddette “Confraternite” o “Compagnie”. Per addentrarmi più nell’argomento e insieme, riferendomi alla nostra zona, mi affido al testo: “Le antiche Compagnie laicali nel castello di Serravalle”. Le “Compagnie laiche” nacquero come aggregazioni di persone intente a svolgere un ruolo essenziale per la comunità: ognuna di esse di solito aveva un compito specifico, su cui i confratelli concentravano le loro forze, per riuscire a portarlo a termine nel miglior modo possibile. Esse erano aperte sia ad individui di sesso maschile che di sesso femminile. Nello specifico, la Compagnia del SS. Sacramento (o Sagramento) fu fondata nell’anno 1590, e oggi, nonostante abbia di molto ridotto le sue funzioni, è ancora attiva. La Cappella conserva ancora vari tratti distintivi di questa sua funzione, come le panche laterali installate lungo il perimetro interno delle mura, che fungevano sia da seduta, che da contenitore per le cappe e per gli oggetti d’uso dei confratelli. Inoltre è ancora presente l’altare di epoca tarda barocca riconducibile agli anni 1792 / 1793 e un confessionale realizzato in legno, risalente all’incirca al XVIII – XIX secolo. Spiccano inoltre quattro lanterne da processione, o comunque da illuminazione esterna, dotate di “testa mobile”, databili intorno alla seconda metà del 1700. Sempre dello stesso periodo, infine, è presente un “cataletto” funebre, collocato a parete, con la sua coltre nera decorata con teschi. Questo perché la Compagnia si occupava anche di tutti gli “uffizi” per i morti dei confratelli e delle consorelle, che spaziavano dal trasporto della salma fino ad una messa con un officiante appositamente scelto. A quel tempo, vita comune e vita religiosa erano strettamente collegate e il sentire della collettività era fortemente legato alla terra stessa.
Eppure, tutto ciò non deve far fermare la nostra attenzione al solo aspetto funzionale, perché, come si può intuire dalle fotografie che corredano l’articolo, questi stretti legami davano vita anche a una forte espressione “artistica” dettata dalla “Passione” e dall’amore verso il divino. Il mistero della morte viene esibito mediante l’esposizione della coltre funebre nera, che copre il cataletto, molto lavorata, sia per ricamo che per colori. Essa possiede simboli disegnati, inerenti al trapasso, molto “forti”, d’impatto, come a suggellare un passo che inevitabilmente va, prima o poi, compiuto. Osservandola bene, la coltre racconta una storia di sofferenza. Tuttavia, è a guardar meglio il teschio, soprattutto se contornato d’oro (in questo caso ci sono i ricami), richiama anche alla rinascita e alla vita eterna. Ecco che quello che sembra essere solo un lenzuolo funebre, tetro e realizzato allo scopo di indicare che la natura di ciò che ricopre è quella di un cataletto funebre, è in realtà un’opera molto più raffinata, dotata di significati profondi. Con lo stesso sguardo possiamo analizzare anche le elaborate lanterne, adornate da foglie, fiori e da altri oggetti che sembrano conchiglie, in ogni caso tutti elementi relativi alla vita, alla femminilità, alla “cura”.
Prendendo in esame anche solo questi due elementi, salta all’occhio come quanto detto in precedenza diventi vero. Benché oggi si tenda a tralasciare l’aspetto spirituale a favore di quello materiale, non dobbiamo dimenticarci che l’uomo ha bisogno di credere, l’uomo ha bisogno di Fede. La Fede trae forza dai suoi riti, dalle sue cerimonie, dall’amore verso il divino. E tutto questo dona la speranza. L’uomo non ha mai attraversato i secoli con tranquillità: invasioni, guerre, carestie, rivolte, crisi economiche e tanto altro sono state da sempre le sue compagne di viaggio. Ciò che ha dato la forza di lottare e di andare avanti è stata la Fede in qualcosa di “superiore” che desse speranza.
Nella stessa ottica di significato, spirituale, di forte fiducia e di forte Credo, compare probabilmente verso metà Settecento un altro fenomeno di devozione popolare, di cui la Cappella è custode, che marca in modo particolare il nostro territorio: le Croci della Passione. Tale fenomeno è stato analizzato con un estremo lavoro di catalogazione e studio da Luca Bertinotti nel suo libro: “Le Croci del Mistero. Origine, sviluppo e declino delle Croci della Passione”. Nelle pagine stampate l’autore traccia una linea culturale, dove le Croci vengono analizzate sotto il loro aspetto simbolico, fino ad arrivare a darne catalogazione e collocazione tramite coordinate cartesiane sul territorio, passando per un approfondito e nutrito apparato fotografico. Per necessità di spazio vi rimando alla piacevole lettura del libro, qui mi limito solo (purtroppo) a tracciarne leggermente il loro significato artistico/rituale. Le croci della Passione sono un fenomeno, si diceva, massicciamente presente sul nostro territorio, soprattutto nell’area che congiunge le città di Prato, Pistoia, Serravalle Pistoiese, Montecatini Terme e Lucca (area settentrionale della Toscana). Molto presente qui, ma diffuso anche se in maniera minore a livello planetario.
Tali croci, quasi sempre senza la figura di Gesù crocifisso, rimangono fedeli alla simbologia originale della Passione del Salvatore in tutto e per tutto, grazie alla loro particolarità, quella di avere presenti, su entrambi gli assi che le compongono, le arma Christi (o strumenti della passione): croce, chiodi, corona di spine, lancia e l’iscrizione con il motivo della condanna, ovvero gli strumenti che furono usati per la crocifissione di Gesù. Ma la forza della raffigurazione va oltre e le più complete di queste croci sono dotate di tutti o quasi gli oggetti relativi all’evento della Passione di Cristo. In ogni caso la cronologia simbolica risultava chiarissima all’epoca di produzione delle croci (su questo punto così come per altri approfondimenti, rimandiamo al libro):
Prima del giorno della passione; la Colomba simbolo dello Spirito Santo, il Ramo di Palma, il Calice, la Caraffa, il Pane dell’ultima Cena, la Tunica.
Giardino dei Getsemani; i trenta Denari, la Lanterna, il Gallo, le Corde.
Il processo: figure umane come Giuda, la Mano guantata, la Spada di Pietro, l’Orecchio di Malco.
Flagellazione: la Spugna, il Vaso, la Corona di Spine, il Manto, la Canna, il Velo, il Pilastro, la Corda, la Frusta.
Crocefissione: il Teschio, la Vera Croce, le Croci dei Ladroni, i Dadi, il Cartiglio, i Chiodi, il Martello, il Cuore ferito, la Lancia, il Sole e a Luna, gli Angeli afflitti, la Scala, le Tenaglie, il Vaso di mirra, il Sudario.
Tutti questi simboli, realizzati in legno o ferro, concorrono a far capire quanta devozione, amore e passione verso il mistero di Dio ci sia stata. Questa tipologia di Croci, che oggi è arrivata fino a noi, non solo ci consegna un messaggio dal passato che necessariamente deve guardare anche al futuro, ma ci conferma ancora una volta il bisogno di aggrapparsi alla Fede per far fronte ai momenti “bui” e d’incertezza, insieme alla voglia di ringraziare chi ci protegge dall’Alto. Tutto ciò crea dentro all’essere umano una spinta verso quel’“Oltre”, verso quella dimensione spirituale la cui ‘visita’ restituisce all’uomo il bisogno di realizzare manufatti, che a tutti gli effetti sono arte, atta a celebrare o ad osannare ciò che egli riconosce come suo Dio.
Questa specifica tipologia di Croci, quelle della Passione, hanno sempre suscitato la mia curiosità e perciò a me oggi sono familiari, così come sono decisamente familiari alcune cose di cui accenna anche il libro di Luca Bertinotti. Mi è familiare il personaggio che girovaga per i campi con la bacchetta di legno in cerca d’acqua, il rabdomante. Mi è ancor più familiare l’anziana signora che “segna” il “fuoco di sant’Antonio” (manifestazione cutanea, molto dolorosa, dell’infezione da herpes zooster), che “lava” (o “leva”) la paura, che toglie il malocchio. Lo sono, perché ne esistono ancora, qui, vicino a casa mia. Tutto questo può sembrare superstizione, paganesimo, retaggio di una cultura contadina che si basava sull’”ignoranza”. Ho preferito porre fra virgolette quest’ultimo termine perché – non fraintendetemi – io non la penso assolutamente così. In realtà, alla base di tutti questi fenomeni sta sempre un moto di profonda devozione. Questo perché, quando si vanno a compiere certi riti o certe cerimonie, l’atto della preghiera è costantemente presente e la richiesta di aiuto a Dio è fondamentale e indispensabile. Anche a me hanno “lavato” varie volte la paura e quindi conosco bene ciò di cui parlo.
Anche durante questo rito si ha una sorta di ‘arte rituale’ che, di nuovo, attiene, in qualche modo, al tema della Passione di Cristo o a ciò che Egli ha patito, perché gli oggetti che vengono usati sono il Catino, il Pane, una particolare erba tagliata all’Alba del giorno di San Giuseppe, una Fede benedetta (e altro, che è segreto).
Poi ci sono io. Vivo in un territorio che ogni giorno ci racconta una storia, confuso in mezzo ad una popolazione che ha origine da secoli e secoli addietro e che ha vissuto di tutto: dalla leggenda delle fate a culti andati perduti, passando per assedi e via discorrendo.
Prove tangibili ci dicono che l’espressione artistica, sotto il profilo rituale è forte, che negli ultimi 500 anni non solo non si è fermata, ma è sempre stata in fermento. Io sono orgoglioso di aver avuto la possibilità di esporre i miei reliquiari, le mie bambole contro la solitudine e le mie figure di antenati in questa Cappella che è anche una sorta di ricettacolo per tutta questa storia e, conseguentemente, di forti energie. Ecco che cosa è quel ponte di cui parlavo all’inizio: un collegamento che parte dal passato, i secoli XIII – XIV, passando, poi, per il XVII e arrivando, infine, a noi, nel presente.
Sognerei di continuare questa storia e far parte del “futuro”, ma non ne sono certamente in grado. Fatto è che, però, sono innamorato del mio fiume, dei miei prati, dei miei animali, delle mie usanze, del mio lavoro d’Arte Tribale e di tutto ciò che il mio territorio manifesta in maniera così silenziosa ma in evidente stato di armonia.
Filippo biagioli (artista arte tribale e rituale europea)
Si ringrazia di cuore: Il Comune di Serravalle Pistoiese (PT) e la Parrocchia di Santo Stefano (organizzazione e materiale d’archivio), Luca bertinotti (fotografie e documentazione Croci della Passione) , Federica Belmonte e Alice Borchi (revisione dei testi), Veronica Fedi (fotografie e traduzioni).
Questo per adesso è tutto
A presto
filippo
l’analphabeta
Nroomから度々展示に参加しているイタリア人作家Filippo Biagioliが、新作漫画を届けてくれました。日本語版のタイトルは「退屈」です。
日々の生活に何かが足りないと感じる時、何だか新しい事をしてみたい時、ちょっとだけ背中を押してくれる・・かも(たぶん?)
詳しくは以下をどうぞ。読んでみたい方はご一報ください。通常のFilippo作品も掲載中です。
http://nroom-artspace.com/Filippo.html